Israele, quale democrazia?

Al termine dell’iniziativa “Le radici della Guerra” che si è tenuta Domenica 5 Novembre a Venezia abbiamo letto questa lettera inviataci da Giuditta Brattini e Mauro Tosi. Giuditta è rientrata in Italia, e per noi costituisce motivo di sollievo. A lei e Mauro il nostro abbraccio. L’apprensione per il massacro che stanno compiendo le forze israeliane a Gaza resta, purtroppo, tragicamente intatta.

All’inizio della vicenda dello stato di Israele abbiamo in molti pensato che, la presenza ebraica poteva costruire, un’esperienza importante, uno Stato in cui pratiche di convivenza, di aperta democrazia, avrebbero fatto sintesi con forme di socialismo praticato.

Ci spingeva in questo senso la storica dolorosa vicenda delle comunità ebraiche in tutto il mondo, escluse dai diritti sociali, dalle pratiche democratiche, dal voto, relegate ai margini della società, private dei diritti elementari come il lavoro, marginalizzate nella stessa libertà religiosa. Ci sembrava inevitabile che da questa dolorosa esperienza non potesse che sorgere un processo democratico, una alternativa politica e sociale.

Ci confermava in questa prospettiva la ricchezza di produzione culturale e democratica degli Ebrei, la loro presenza nella costruzione e direzione delle organizzazioni socialiste, democratiche e progressiste in tutta Europa. 

Ma l’illusione di un processo democratico, inclusivo, dove uguaglianza e partecipazione potessero costruire un modello di avanzata democrazia è durata molto poco. Già le prime pratiche di conquista della Palestina ne hanno svelato la diversa natura. Abbiamo visto il massacro dei civili e l’espulsione di più di 900.000 Palestinesi, dalla loro terra, la demolizione sistematica delle abitazioni, delle strutture civili, la sussunzione del territorio con l’esclusione di ogni forma di condivisione.

Oggi, come vendetta per l’assalto ai civili del 7 ottobre scorso, Israele sta esercitando una pesante ritorsione nei confronti della popolazione di Gaza con l’uso indiscriminato dei bombardamenti anche con armi non convenzionali, con l’assedio, il blocco delle forniture dell’acqua, del cibo, dell’energia elettrica e del gasolio. Non ultimo la chiusura delle comunicazioni, delle connessioni internet e telefoniche. Più di 9.000 vittime civili, in gran parte bambini, rappresentano una violazione del diritto umanitario internazionale.  

A motivazione e difesa delle politiche Israeliane si sostiene che Israele rappresenta l’unica democrazia in Medio Oriente e che, come tale, va comunque tutelata. Forse serve una riflessione su l’essenza di uno stato democratico, sui valori, principi e pratiche che lo qualificano. 

Democrazia è libertà, uguaglianza, solidarietà come progetti, come bandiere di conquista sociale, per unire i diritti individuali a quelli collettivi, universali ed esigibili. Una democrazia promuove giustizia e crescita collettiva e sostiene pace e convivenza contro ogni competizione e conflitto.

La Democrazia è il frutto di secoli del confronto fra gli uomini alla ricerca di condizioni di pace e di convivenza. È democratica la società connotata dai principi e valori che sono l’espressione di conquiste sociali sancite da patti condivisi di cui la Carta Costituzione, che Israele non ha, è lo strumento per la partecipazione attiva di tutti i cittadini.  

La sfida  per attuare la democrazia, è una Carta Costituzionale democratica, la sua applicazione nel progetto di costituire e promuovere la convivenza di etnie, di culture , di religioni diverse dove i cittadini sono gli esclusivi detentori del potere politico. 

La sovranità appartiene al popolonon allo Stato o alla Nazione. Israele con l’approvazione nel 2018 della Basic Law “Israele, patria del popolo ebraico” che sancisce: “La realizzazione del diritto di autodeterminazione nazionale in Israele è unica per il popolo ebraico; l’ebraico come lingua ufficiale e lo Stato guarda allo sviluppo dell’insediamento ebraico come un valore nazionale” non può rappresentare la Democrazia.

L’obbiettivo di Israele è l’esclusione-espulsione del popolo Palestinese dalla terra della Palestina storica. Oggi l’aggressione a Gaza ne è un esempio, il tentativo di spingere i palestinesi verso l’Egitto e con la presenza dei coloni e gli insediamenti cacciare i palestinesi dalla Cisgiordania alla Giordania. È la realizzazione dello Stato Nazione degli Ebrei dal Mediterraneo al Giordano.

Non è democrazia quella di Israele.  Israele che non si è data una costituzione come indirizzo di valori e diritti comuni, che non ha definito e posto limite ai suoi confini, che si è data una legge che la qualifica come Stato Nazione degli Ebrei dove agli arabo-israeliani non sono riconosciuti pari diritti.  

Nella palese pratica di esclusione dei palestinesi, anche attraverso la teorizzazione di diversità a base religiosa ed etnica, Israele ripercorre l’esperienza razzista del Sud Africa già condannato dalla Comunità Internazionale.

Questo paese, questa “Democrazia” ha i requisiti per essere accettato nella Comunità Europea?

Mauro Tosi, Giuditta Brattini  

04/11/2023

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Giornata della salute mentale: in Veneto è necessario fare di più, a cominciare dai fondi

Martedì 10 ottobre è la Giornata Mondiale sulla Salute Mentale, tema troppo spesso trascurato o messo ai margini dal dibattito politico, nonostante sia sotto gli occhi di tutti come i due anni di pandemia, con il distanziamento fisico e l’isolamento sociale che hanno comportato, siano stati dannosi per il benessere mentale di moltissimi veneti.

Nella nostra regione molti distretti e reparti di psichiatria sono in difficoltà, una situazione dovuta a una sanità pubblica veneta che ha indebolito i servizi sul territorio e ridotto le risorse destinate alla tutela della salute mentale. Aziende sanitarie e comuni in passato potevano utilizzare maggiori risorse anche per prevenire i fenomeni di disturbo mentale. Oltre agli effetti della pandemia va notato anche come lo stile di vita frenetico e un mondo che richiede da ogni individuo il massimo di “successo” creino fenomeni di inadeguatezza sociale che in alcuni casi comportano danni per il benessere mentale delle persone. 

Come è noto, per i finanziamenti al comparto della salute mentale la Regione Veneto è terzultima a livello nazionale con una spesa del 2,3% del fondo sanitario regionale. La conseguenza è che chi se lo può permettere è costretto ad accedere, pagando, al regime privatistico, chi non può, invece, spesso deve semplicemente farne a meno. Secondo noi era importante prima della pandemia (e lo è ancora di più oggi) investire risorse pubbliche per la tutela della salute mentale, è necessario investire sui distretti, sui consultori e su figure come educatori e psicoterapeuti che possono essere recettori dei bisogni che hanno le persone più fragili, per poter prevenire situazioni che portino al ricovero in psichiatria. 

Dal 1978 con la Legge Basaglia sono stati chiusi i manicomi e dal 2014 sono stati chiusi gli Opg (ospedali psichiatrici giudiziari) con la trasformazione di questi ultimi in REMS (Residenze per l’Esecuzione della Misure di Sicurezza).

La peculiarità di queste nuove strutture è l’attenzione primaria alla malattia psichiatrica piuttosto che al reato e alla pena. Molti dubbi e criticità sono ancora presenti nell’organizzazione di tali realtà anche perché non ci sono degli standard nazionali ai quali riferirsi e nemmeno un monitoraggio del loro andamento.

Passi avanti sul fronte psichiatrico sono stati fatti, ma in Veneto rimangono molte questioni aperte, come l’idea della Regione Veneto di istituire delle strutture nel territorio per chi soffre di disagi psichiatrici, strutture ribattezzate “manicomietti” da molti di coloro che si occupano di salute mentale.

In alcuni casi, inoltre, si registra in Veneto una forte somministrazione di farmaci ai pazienti ricoverati nei reparti psichiatrici degli ospedali e anche questo aspetto andrebbe maggiormente approfondito. Non solo: il potenziamento nel percorso pubblico deve passare anche dalla massima attenzione per la fase del post ricovero, tanto delicata quanto essenziale per il completo riassestamento del paziente, specie nelle situazioni di maggior fragilità.  

Noi pensiamo che a livello nazionale e, ancor più in Veneto sia necessario cambiare direzione nel delicato ambito della tutela della salute mentale. Va ricostruita e potenziata una rete di supporto per le persone più fragili e per chi sta loro accanto. 

Riteniamo che vada posta particolare attenzione al rafforzamento della rete dei consultori e dei distretti il cui lavoro può essere molto utile per monitorare la salute mentale dei pazienti e prevenire forme di malattia mentale. E pensiamo sia altrettanto importante l’impostazione di una politica di inclusione di chi soffre di un disturbo mentale.

Sinistra Italiana del Veneto – Gruppo Sanità

Manifestazione Cgil e Associazioni del 7 ottobre a Roma. Anche Sinistra Italiana del Veneto sarà in piazza!

Anche Sinistra Italiana del Veneto sarà in piazza, Sabato 7 Ottobre, alla manifestazione promossa dalla Cgil e da tantissime associazioni e realtà sociali del nostro Paese. Parteciperemo allo spezzone di Alleanza Verdi Sinistra che da Piazza della Repubblica sfilerà, con migliaia e migliaia di persone, per chiedere la piena attuazione della Costituzione, per restituire diritti e dignità al lavoro, per salari e pensioni giuste. 

Sono tante le ragioni che ci spingono ancora una volta nelle piazze e nelle strade, con il Sindacato e le realtà associative e territoriali con cui lavoriamo nella quotidianità nei nostri Comuni e nei nostri quartieri. 

Manifestiamo per il diritto a un lavoro giusto, dignitoso, con una retribuzione adeguata come da Costituzione, e sicuro. In un Paese martoriato dalle morti e dagli infortuni sul lavoro, pensiamo che sia necessario porre al centro il tema della sicurezza, che passa anche dalla lotta alla precarietà e dal ripensamento di un modello pubblico di sviluppo e di politiche industriali adeguate alla fase storica. 

Manifestiamo per il diritto alla salute, in un Paese in cui i fondi per la sanità pubblica sono oggetto di pesanti tagli, in cui il personale sanitario è allo stremo e con una Regione che punta tutto sulla sanità privata, come denunciamo ormai da anni. 

Manifestiamo per il diritto alla casa, oggi sempre più inaccessibile, con fasce di esclusione sociale che vanno dal lavoro povero a pensionati/e con la minima a studenti/esse fuori sede a cui è impedito di poter studiare e vivere nelle città. 

Manifestiamo per il diritto a vivere in un ambiente salubre e per la giustizia climatica, denunciando i pesanti danni della rendita immobiliare che soffoca di cemento i nostri territori e consuma suolo in nome del profitto senza limiti. Continuiamo a pensare che sia necessaria una Legge regionale seria per raggiungere davvero l’obiettivo di “consumo di suolo zero” e che si debbano fermare quelle grandi opere inutili che devastano il territorio, come la pista da bob a Cortina. 

Manifestiamo per il diritto all’istruzione, dal nido, che non può più essere un servizio a domanda individuale, all’Università, che deve essere realmente accessibile a tutti/e, con strutture adeguate e da potenziare anche in considerazione del fatto che l’Italia è fanalino di coda in Europa per percentuale di laureati.

Manifestiamo per un’articolazione democratica più avanzata nel nostro Paese e nei territori: all’opposto rispetto al neo-centralismo sotteso ai progetti, profondamente sbagliati, di autonomia differenziata e di presidenzialismo, crediamo sia imprescindibile ripartire dalla Costituzione, dalla seria applicazione delle disposizioni sociali che contiene e da un ruolo rinnovato dei Comuni, da sempre il luogo della partecipazione democratica più estesa.

Manifestiamo per questo e per molto altro. Come sempre nelle piazze noi ci saremo. 

Sinistra Italiana del Veneto

I Veneti sono consapevoli dello scivolamento della sanità verso il privato: non ci sono più scuse.

Le chiacchiere sull’eccellenza della sanità pubblica nella nostra regione stanno a zero quando, come emerge dall’indagine di CISL e Fondazione Corazzin, il 72,8% dei Veneti (tre quarti) si dichiara convinto che “la gestione della sanità pubblica in Veneto favorisca il privato” e il 72,7% afferma di essersi rivolto proprio al privato a causa dei tempi di attesa troppo lunghi nel pubblico.

Si tratta di una situazione che denunciamo da tempo e che trova in questa indagine il riscontro della piena consapevolezza dell’opinione pubblica tanto che la percentuale di cittadini soddisfatti del servizio sanitario è del 9,8% contro una percentuale del 31,4% che dà un giudizio negativo.

Rispetto alla questione della progressiva privatizzazione del sistema sanitario in Veneto la difesa d’ufficio dell’assessore Lanzarin è la solita: “Da 15 anni la quota di privato in Veneto è rimasta assolutamente la stessa”.

Non mettiamo in dubbio questo dato ma si tratta di una considerazione che riguarda il cosiddetto “privato convenzionato” cioè le prestazioni che le strutture sanitarie private svolgono “per conto” del sistema sanitario pubblico e per le quali, per capirsi, il cittadino paga il ticket come per le analoghe prestazioni erogate da ospedali e ambulatori pubblici.

Quello che in Veneto sta progressivamente crescendo da anni è il ricorso alla sanità privata propriamente detta, quella il cui costo è completamente a carico del paziente che, come indicano i risultati dell’indagine in questione, vi fa ricorso quando (spesso) le liste d’attesa del pubblico (e anche del “privato convenzionato”) sono troppo lunghe.

Ovviamente, il valore economico di questo “passaggio al privato” non trova riscontro nel bilancio della Regione perché, appunto, il costo viene direttamente sostenuto dai cittadini: un modo per valutarlo sarebbe una indagine (che potrebbe curare l’assessore Lanzarin) sulle “impegnative” per analisi cliniche, esami, visite specialistiche che dovrebbero essere effettuati nel pubblico e che vengono, al contrario, svolti in una struttura privata, all’esterno delle convenzioni. Non dovrebbe essere difficile effettuare questo tipo di verifica visto che il medico che prescrive la prestazione ne riceve poi gli esiti con l’indicazione della struttura che l’ha effettuata. L’assessore Lanzarin valuterà questa proposta che, se accolta, permetterebbe di avere un quadro chiaro della “privatizzazione” reale della sanità in Veneto, anche in termini di valore economico della fuga verso il privato?

In attesa della risposta dell’assessore Lanzarin ribadiamo alcuni dati noti da tempo che confermano come il ricorso alla sanità privata in Veneto sia sempre più massiccio: 

–        il primo è relativo alla spesa pro capite sostenuta in Veneto per le prestazioni della sanità privata che da anni è superiore almeno del 15% rispetto alla media nazionale;

–        il secondo è quello relativo alla percentuale di famiglie che spendono oltre il 20% del loro reddito disponibile per curarsi: in Veneto è del 5,99%, la più alta in tutto il centro-Nord (allegata tabella);

–        lo dichiarano pubblicamente i responsabili delle strutture sanitarie private: il giro d’affari delle loro aziende continua ad aumentare, le loro strutture ad ampliarsi, tra l’altro senza avere problemi a trovare medici da assumere, problema che invece assilla la sanità pubblica.

Ma il dato più drammatico è quello registrato in un’altra indagine dei sindacati resa pubblica pochi mesi fa: nel campione esaminato il 59% delle persone che non ottengono dalla sanità pubblica l’appuntamento “in tempo utile” per la prestazione loro prescritta rinuncia alla prestazione stessa, cioè rinuncia a curarsi, con ogni probabilità perché non può sostenere il costo dell’esame o dell’analisi nelle strutture private. Quante centinaia di migliaia di Veneti si ritrovano in questa situazione, costretti a rinunciare alle cure?

È contro questo modello di sanità che combattiamo e continueremo a combattere con le nostre iniziative e le nostre proposte per una sanità pubblica che garantisce a tutte e tutti servizi di qualità in tempo utile.

Sinistra Italiana del Veneto – Gruppo Regionale Sanità

Pista da bob da Cortina a Innsbruck: dal Consiglio Provinciale di Belluno un primo importante sì

Una grande soddisfazione!

Il Consiglio Provinciale di Belluno approva l’Odg, a prima firma Paolo Perenzin (di Sinistra Italiana), che chiede alla Fondazione Milano-Cortina 2026, al Governo e alla Regione Veneto di verificare urgentemente e in via ufficiale con le Istituzioni austriache competenti se, in alternativa alla pista da bob di Cortina, sussistano le condizioni per l’adeguamento dell’impianto di Innsbruck in tempo utile per le Olimpiadi del 2026, comunicando formalmente alla Provincia di Belluno le risultanze della verifica. 

In caso di esito positivo, l’Odg approvato impegna a chiedere la revoca della procedura per la realizzazione del “Cortina sliding center”: i costi ambientali, economici e sociali di tale intervento non sono sostenibili, né giustificabili, a fronte della disponibilità di un impianto idoneo a poca distanza dalle sedi di gara. 

Come Sinistra Italiana del Veneto pensiamo si tratti di un passo ufficiale davvero importante, che mette finalmente un primo punto di chiarezza su un’opera costosissima e dannosa, com’è stato anche rimarcato nel corso della bella e partecipata manifestazione di Domenica a Cortina. 

Insieme a Paolo Perenzin, primo firmatario, hanno sottoscritto l’Odg anche Lucia Da Rold, Mario De Bon, Simone Deola e Letizia Monestier. 

Il Coordinamento Regionale di Sinistra Italiana Veneto

La privatizzazione della sanità pubblica è il problema, non la soluzione. Con buona pace di Flor.

Nell’intervista rilasciata qualche giorno fa, il dottor Luciano Flor esprime la convinzione che l’unico modo per risolvere i problemi del Servizio Sanitario Nazionale sia l’inserimento nella programmazione sanitaria di “fondi assicurativi e altri tipi di fondi sanitari che già ci sono”. Il dottor Flor, ovviamente, garantisce che in questa sua visione di “integrazione” non vengono messi in discussione i livelli essenziali di assistenza, ma a noi pare che una soluzione di questo tipo non possa che portare a una deriva privatistica della sanità, ancora più accentuata di quella già in corso.

Alle dichiarazioni del dottor Flor rispondiamo, in primo luogo, con le parole del Presidente della Fondazione Gimbre Nino Cartabellotta che, in una recentissima audizione alla Commissione Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale del Senato sui fondi sanitari ha, tra l’altro, affermato: “Le potenzialità dei fondi sanitari nel fornire prestazioni integrative e ridurre la spesa a carico dei cittadini oggi sono poi sempre più compromesse da una normativa frammentata e incompleta, una deregulation che ha permesso da un lato ai Fsi di diventare prevalentemente sostitutivi di prestazioni già incluse nei livelli essenziali di assistenza (Lea) mantenendo le agevolazioni fiscali, dall’altro alle compagnie assicurative di assumere il ruolo di gestori dei fondi in un ecosistema creato per enti non-profit, dirottando gli iscritti ai fondi verso erogatori privati.”

A noi pare che la “sinergia” ipotizzata dal dottor Flor non possa certo essere messa in atto fino a che permane questo tipo di situazione.

Ma, andando più a fondo rispetto al problema del finanziamento del sistema sanitario pubblico che muove la proposta del dottor Flor, pensiamo che ci siano due ulteriori elementi di riflessione.

Il primo è relativo proprio alle risorse pubbliche che vengono utilizzate per garantire le detrazioni fiscali a cui ha diritto il mondo dei fondi sanitari e quelle a cui accedono i cittadini che fanno ricorso a prestazioni sanitarie presso le strutture private perché quelle pubbliche non sono in grado di erogarle nei tempi previsti.

Se queste risorse fossero destinate alla sanità pubblica invece che alle detrazioni fiscali il nostro sistema sanitario forse avrebbe qualche problema in meno a livello di finanziamenti.

La seconda questione è proprio quella delle risorse pubbliche che vengono assegnate al sistema sanitario nazionale che sono attualmente insufficienti per garantire una risposta adeguata alla richiesta di servizi della popolazione il cui invecchiamento, ovviamente, richiede un incremento costante di diagnosi e cure.

E questa è una questione tutta politica perché attiene alla decisione di chi governa su quali sono le priorità della spesa pubblica. Le priorità sono l’aumento della spesa militare, la realizzazione del ponte sullo stretto di Messina o l’aumento dei fondi per la sanità?

Le risorse pubbliche per la sanità non sono, come sembra affermare il dottor Flor, insufficienti “a prescindere” ma in ragione del fatto che chi governa il Paese preferisce dare la priorità, appunto, alle spese militari o a quelle per “grandi opere” la cui sostenibilità e utilità è tutta da verificare.

Per curare la sanità pubblica non sono necessarie “integrazioni” di marca privatistica: è necessario (e sufficiente) spostare verso i servizi sanitari l’asse della spesa dello Stato.

Sinistra Italiana del Veneto – Gruppo regionale Sanità

Soppressione del trasporto pubblico la domenica. La cittadinanza paga la mala governance di Atv

Leggiamo, purtroppo senza stupore, la nota del Presidente di Atv che annuncia la soppressione di autobus di linea la domenica in quasi tutta la provincia, con l’esclusione solo di alcuni comuni maggiori. Una situazione di disagio, questa dei tagli alle corse che si rinnova ogni anno e che ha, come sempre, la sua causa in una carenza endemica di personale.

Personale che manca per ovvi motivi salariali: chi entra in azienda oggi ha la prospettiva di una paga base di 1.200 euro mensili e un “nastro orario” che va dalle 12/15 ore giornaliere, con turni che cambiano quotidianamente e non distinguono tra sabati, domeniche e festivi. Contratti fermi da vent’anni, nonostante l’Atv sia una realtà che chiude in attivo dal 2012. Un attivo pagato dagli stipendi di chi vi lavora e che ha consentito all’azienda di mettere da parte, secondo i sindacati, 25milioni di euro.

A una situazione che si trascina di anno in anno e che avevamo già denunciato in passato si risponde con la solita modalità: non garantire il diritto alla mobilità, tagliando i trasporti e andando a penalizzare soprattutto chi non può permettersi o non ha accesso al trasporto privato.

Mentre in altri paesi europei si investe nel trasporto pubblico (emblematica la scelta tedesca del biglietto unico a 9€) per ovvie ragioni di sostenibilità ambientale e qualità della vita, Verona registra ogni anno un pesante passo indietro, evidente anche nel taglio del servizio serale cittadino e nell’inadeguatezza di alcune linee, specialmente negli orari di punta (con ripercussioni anche su studenti e studentesse, ma non solo).

Crediamo vi sia innanzitutto un’assenza da parte della Regione, che dovrebbe stanziare risorse vere e non un risicato 2,5% di quota rispetto a una copertura di spesa per il trasporto pubblico che in pratica resta quasi totalmente a carico dello Stato. Mettendo in evidenza come vi sia una marcata distanza da quelle regioni in cui già si prevede la gratuità del servizio, vedi ad es. l’Emilia Romagna, per gli under 14, senza una previsione di fascia di reddito.

Iniziano solo ora gli incontri tecnici dell’assessora regionale con delega ai Trasporti, Elisa De Berti, che promette nuovi mezzi. Pensiamo che sia del tutto inutile pagare le patenti 4/5mila euro a chi altrimenti non potrebbe permettersi una formazione e acquistare nuovi bus se si continua ad affamare il personale di un servizio pubblico.

Si garantiscano i diritti delle persone che lavorano e di coloro che devono spostarsi in città e provincia.

Per In Comune per Verona. Sinistra Civica Ecologista, Jessica Cugini 

Per Sinistra Italiana Verona, Luca Perini

Cinque morti a Brandizzo, parole ma ancora nessuna risposta.

Brandizzo (TO). Falciati mentre lavoravano in condizioni di totale insicurezza, in lavoro di sub appalto come milioni di lavoratori nel nostro paese.

La manutenzione della linea ferroviaria, soprattutto dopo la privatizzazione attuata nel 2016, è stata esternalizzata ed affidata in appalto e sub-appalto con condizioni di lavoro che coniugano tempistiche feroci, insicurezza e impossibilità di controllo e opposizione dei lavoratori. I dati delle vittime da lavoro dell’ultimo anno sono tragicamente trasparenti: più di 559 morti, 80 al mese, a cui si aggiungono feriti e vittime di malattie professionali.

La vicenda di Brandizzo ricorda quella di Luana D’Orazio, uccisa nel 2021 perché dalla macchina su cui lavorava erano stati disattivati i meccanismi di sicurezza per aumentarne la produttività. Nonostante l’impegno a garantire reali forme di controllo e tutela per il lavoro (sul piano legislativo e dei controlli), la risposta è mancata. Il profitto prima delle persone, i dividendi prima dei diritti dei lavoratori: ecco il capitalismo.

Il cuore del problema risiede nella progressiva frantumazione del processo produttivo, con l’esternalizzazione di fasi sempre più estese dei lavori e l’appalto a strutture marginali con scarso investimento tecnologico.

L’inadeguatezza tecnologica di gran parte delle aziende della subfornitura e del subappalto comporta che competitività e margini di profitto siano recuperati essenzialmente nella parte variabile del capitale, peggiorando salari e condizioni di sicurezza.

L’idea, sbagliata, secondo cui il limite dello sviluppo risiedesse nella rigidità del rapporto di lavoro ora mostra le sue tragiche conseguenze. Era il fondamento del Jobs Act: smantellare la struttura sindacale nei luoghi di lavoro e dare il via libera alle politiche padronali. Il nuovo Codice Appalti varato da Meloni e Salvini, estendendo il sub-appalto a cascata, peggiora il quadro.

Più flessibilità e velocità si traduce in più precarietà, insicurezza, infiltrazioni della criminalità: da questa svalutazione del lavoro deriva gran parte dei rischi, degli infortuni, delle morti, che purtroppo, anche nella nostra Regione, hanno coinvolto anche studenti in PTCO.

Oggi, per non lasciare inalterate la condizioni strutturali che hanno penalizzato il lavoro nel nostro Paese, va unificata la proposta di introdurre un Salario Minimo con l’abrogazione del Jobs Act e delle normative che escludono, nelle aziende sotto i 15 dipendenti, la reintegra in caso di licenziamento illegittimo (art. 18).

Più democrazia e diritti nel posto di lavoro, più democrazia nella società.

Va ripresa la politica dell’intervento pubblico sullo sviluppo, sulle politiche industriali e sui servizi. Proponiamo la pubblicizzazione degli Enti che hanno reso possibile la crescita qualificata nel nostro paese. Eni, Enel, Telecom, “nuova Iri” vanno riproposte come strumento di crescita, di riconversione ecologica e di valorizzazione del lavoro.

Sinistra Italiana – Gruppo Lavoro Regionale Veneto

Scuola. Abbandono, dispersione o ancora selezione di classe?

La Destra peggiore di governo scopre che abbandono e dispersione scolastica sono elemento di esclusione per molti giovani e che la bassa scolarità destina fasce sempre maggiori di giovani alla marginalità sociale. Sono inconfutabili i dati dell’abbandono scolastico che nel nostro paese colpisce , già nell’obbligo, un bambino su sei, in particolare nel sud. L’aveva già scoperto decenni fa Don Milani che fece una grande battaglia culturale e politica per un cambiamento della scuola italiana, per una scuola al servizio dei deboli , dei poveri.

La soluzione che viene proposta è quella di inasprire le pene fino alla reclusione per chi non manda i figli alla scuola dell’obbligo. In verità non so a cosa possa servire la carcerazione di qualche mamma povera e disperata.

Riesce difficile pensare che la rinuncia alla scolarità per i propri figli sia una scelta ideologica o di egoismo sociale, la verità è che l’abbandono o la difficoltà di frequenza è in primo luogo una questione di censo, di difficoltà economiche.

E’ per la mancata attuazione della mensa scolastica l’impossibilità di attuare nel primo ciclo il tempo pieno ma mentre l’85 % dei bambini al nord può utilizzare la mensa scolastica a Napoli, la stessa percentuale non è in grado di usufruire del tempo pieno per mancanza di strutture, mensa e trasporto.

E’ la spesa per la frequenza di asilo nido e scuola dell’infanzia, la non gratuità e il costo di mensa e trasporto a impedire a parte significativa delle famiglie, con accentuazione al Sud, il completamento del percorso scolastico

Quanto la mancanza di un qualificato percorso formativo sia alla base dei processi di abbandono che colpiscono in particolare le famiglie povere del sud è fin troppo evidente. La scuola manca in quella che è la sua funzione essenziale, l’uguaglianza e la promozione sociale.

Ma il ruolo della scuola pubblica non era quello di porre in condizione di parità i bimbi e i giovani di tutto il paese? Non era sua la mission di sottrarre le famiglie dalla tragica scelta fra i libri di testo e la spesa quotidiana? Non si era parlato di obbligo e gratuità. Non si era esteso il diritto alla scolarità al secondo anno della scuola superiore e ai 6 anni antecedenti la primaria? Dove sono le mense, le palestre il trasporto per disabili, la scuola per l’infanzia , l’asilo nido?

Perché non si applica il tempo pieno come normativa comune, come passaggio essenziale alla funzione formativa e alla qualità della scuola dell’obbligo? Perché la mensa a scuola è a pagamento e esclude chi non può permettersela? Mensa e trasporti sono “servizi a domanda individuale” svolti dai comuni e sostenuti da questi e dalle famiglie. La Scuola dell’Infanzia e i Nidi , pur normati da leggi nazionali sono solo parzialmente gestiti dal pubblico con tariffe socialmente discriminanti.

Allo stato attuale, la stessa frequenza dell’obbligo è privilegio di una parte della popolazione. Un solo esempio, non tollerabile nello spirito di una scuola che promuove e unifica. Un gruppo di famiglie in Lombardia ha chiesto l’esclusione dei propri figli dalla mensa scolastica e uno spazio nella scuola per l’utilizzazione di un pasto portato da casa e meno costoso. Anche nel ricco nord est la tariffa della mensa scolastica diventa insostenibile per chi vive del proprio lavoro.

La battaglia contro l’abbandono l’applicazione dell’universalità del servizio non è allora la punizione dei genitori poveri ma la piena applicazione dei criteri di gratuità e fruibilità per tutti della scuola , della precisa definizione della fascia dell’obbligo, della valorizzazione della sua funzione di servizio pubblico.

Verona 08 settembre 2023

Mauro Tosi (Sinistra Italiana Veneto)

Arena di Verona. Finalmente cambia la musica! 

Il sindaco di Verona Damiano Tommasi ha comunicato che la convenzione con la società srl che gestiva la musica pop a Verona verrà revocata e tornerà nella disponibilità del Comune di Verona, che è il proprietario del monumento areniano.

Era stato l’ex sindaco Federico Sboarina ad appaltare l’intero comparto all’attuale sottosegretario di governo Gianmarco Mazzi.

Si tratta di una notizia importante e positiva, che in primo luogo mette al riparo il nome della nostra città rispetto ad una gestione clientelare del settore, estranea ai suoi stessi interessi e a quelli delle categorie economiche.

Adesso si dovrà discutere in modo sereno e approfondito quali indirizzi gestionali il Comune di Verona intenderà perseguire per ridare slancio e dinamismo alle attività extra liriche, sempre tenendo in considerazione che la priorità assoluta – sopratutto in estate – resta la stagione lirica del nostro Teatro stabile.

Noi – che da sempre ci siamo impegnati con generosità e disinteresse per la soluzione di revoca e per la difesa del nostro teatro areniano – sosteniamo la gestione diretta dell’extralirica da parte del Comune, così come è sempre stato nel passato prima dei sindaci Tosi e Sboarina.

Una Commissione qualificata di esperti, che certo non mancano nella nostra città, potrebbe vagliare tutte le numerose richieste di utilizzo dell’Anfiteatro e decidere poi con criteri seri e ineccepibili, sapendo che queste attività potrebbero anche portare nelle casse del Comune fondi preziosi da destinare alla Fondazione e ai servizi per i nostri cittadini. Non ci sono solo gli spettacoli dal vivo, ci sono i diritti televisivi, il merchandising e altre attività collaterali da mettere a bilancio.

Si apre così una fase nuova per l’Arena di Verona e se ne chiude un’altra densa di ombre e di interrogativi senza risposta, sulla quale Sinistra Italiana ha voluto aprire uno squarcio nelle settimane scorse con la presentazione alla Camera e al Senato di una interrogazione nei confronti del sottosegretario governativo Gianmarco Mazzi.

Sinistra Italiana – Verona